mercoledì 2 febbraio 2011

In vino paupertas. Isernia 26 luglio 1857

Nell’estate del 1857, nel giorno di Sant’Anna, allorché venne introdotto il dazio comunale sul vino – particolarmente odioso perché imposto sul consumo, come testatico gravante finanche sui dodicenni – due o trecento contadini, al grido di “Viva il Re! Non vogliamo il dazio sul vino” marciarono lungo la Piazza (l'attuale Corso Marcelli) fino alla Sottointendenza.

«Dato così il segnale due di essi, uno suonando la zampogna, ed un altro il tamburrello, si mettono alla testa degli altri e si danno a scorrer le strade del paese. Anche un tamburriere, incontrato a caso col suo strumento sulle spalle, vien arrestato e con minacce costretto a batter il tamburo. Ad appello sì clamoroso rispondono i contadini coll’accorrer da tutte le vie a riunirsi. (…) E costituitisi quindi in numero imponente, difilati procedono verso la casa del Sotto-Intendente. Quivi giunti, come a lava, irrompono nel cortile e scossa quell’autorità dal suono de’ cennati strumenti e dalle grida di Viva il Re, vestita di uniforme, discende in unione dell’Ispettor di Polizia»
(Gran Corte Criminale di Molise, Udienza 3 dicembre 1857, in Anonimo [ma Stefano Jadopi], Reazione d’Isernia, Il Giudizio innanzi la Corte d’Assise ed i ricorsi in Cassazione, in Storia d’Isernia al cadere dei Borboni nel 1860, s.l. [Italia], s.d., pp. 172-177)

Seguono schermaglie da manifestazione di piazza: i contadini chiedono rispettosamente che si tolga il balzello. Il sottointendente eccepisce non esser quello il modo di chieder grazie, e invita la folla a disperdersi; ma questa, anzi, cresce di numero, spinge. Si dirigono tutti fino a casa del sindaco Gaetano Mancini, al quale impongono l’ostensione del ruolo, perché venga lacerato; ma il ruolo è presso il municipio, e allora tutto il corteo, con sindaco, sottointendente, ispettor di polizia, e sei gendarmi al seguito, si porta presso la casa del misero cancelliere comunale, perché vada in comune a prendere il libro mastro. Finalmente, il ruolo viene esibito, dato a uno del popolo. Passa a altre mani, fino a restarne lacerate le prime pagine. Sorge però un dubbio: e se quell’involto che sta passando di mano in mano come un trofeo dovesse essere inutile carta e non il preteso ruolo? In una città dove sa leggere uno su cento, il problema è trovare terze parti che sappiano confermare la bontà di quel brogliaccio. Si provvede:

«(…) preso a forza l’uscier Santorsola, a via di minacce lo costringe a salir sulla fontana ed a leggere ad alta voce quelle carte, con che, non essendo più dubbio di contenere esso il ruolo disputato, uno di quegli insensati lo strappa dalle mani dell’usciere, ed egli ed altri riducendolo a brani, a gara ognuno di questi bravi si provede, e se li fuma nella pipa. Conseguito così l’intento a poco a poco quella ciurmaglia dileguasi, finiscono le eccedenze, e tutto ritorna nell’ordine.»

Gli eventi del 26 luglio 1857, assolutamente incruenti, quasi al limite (interno) della rilevanza penale – se si tace del ceffone assestato a un guardiaboschi ritroso, della violenza privata usata all’usciere Santorsola, con minaccia di diruparlo per la Prece e poco altro – pure portarono la Gran Corte Criminale di Molise a irrogare pene di sette o sei anni di reclusione ai ventiquattro imputati.


2 commenti:

  1. Ho letto il libro di Venditti con grande piacere - libro di storie vere che fa vera storia, riffugendo dalle semplificazioni facili. Ottima lettura

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  2. Riscontro solo ora il suo gentile messaggio. La ringrazio dell'apprezzamento rivolto al libro e la saluto cordialmente.

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